A tutti noi è capitato di conoscere dei bimbi, come pure degli adulti, particolarmente sensibili: dolci, affettuosi, attenti ai bisogni degli altri, intuitivi e intelligenti, ma a volte anche facilmente irritabili o lamentosi, poco tolleranti di fronte a piccoli cambiamenti, inclini allo scoraggiamento ed eventualmente allo sfruttamento da parte degli altri.
L’Elevata Sensibilità, come tratto di personalità stabile nel tempo, geneticamente e neurologicamente determinato, è in realtà una scoperta relativamente recente, ad opera della psicologa americana Elaine Aaron, che da oltre 20 anni conduce ricerche su questo ambito.
In Italia si tratta di un tema ancora poco conosciuto, perfino tra gli addetti ai lavori, essendo stati tradotti pochissimi testi sull’argomento e solo negli ultimi anni. Nel lavorare con persone a Elevata Sensibilità, non tutti gli psicoterapeuti sono riusciti a riconoscere la particolarità della modalità percettiva che le caratterizza e cercando di trattare solo le conseguenze della ipersensibilità - come ansia, tristezza, timidezza– possono avere ottenuto risultati minori.
Grazie al suo imponente lavoro di ricerca, la Aaron ha invece scoperto che questo tratto di personalità caratterizza ben il 15-20% della popolazione umana, in modo equamente distribuito tra maschi e femmine; una percentuale troppo alta per trattarsi di un tratto patologico, ma sufficientemente bassa da indurre le persone con Elevata Sensibilità a sentirsi cronicamente ‘diverse’ dal resto dell’umanità!
Cosa interessante, la Aaron ha studiato anche una centinaio di specie animali, ottenendo risultati e percentuali del tutto analoghe.
Un tempo confusa con la timidezza o il nevroticismo, il tratto di personalità della Elevata Sensibilità (definito dalla Aaron con l’acronimo di Hsp, Highly Sensitive Person) è invece dovuto a una particolare modalità di funzionamento del sistema nervoso caratterizzato da:
In generale, l’Elevata Sensibilità comporta caratteristiche potenzialmente vantaggiose. Ma se male interpretate o incanalate, tali caratteristiche possono anche portare a specifiche problematiche.
In gran parte ciò dipenderà dall’atteggiamento e dalle competenze emotive degli adulti di riferimento, che influenzeranno il modo in cui il bambino sensibile percepirà se stesso e come imparerà a gestire (o meno) la propria sensibilità.
Essendo un tratto di personalità geneticamente determinato, le persone a Elevata Sensibilità possono avere un genitore con caratteristiche simili. Se il genitore in questione ha imparato a riconoscere e gestire la propria Elevata Sensibilità, potrebbe costituire per il figlio un modello positivo, aiutandolo fare altrettanto. Diversamente, le problematiche non risolte dal genitore potrebbero rappresentare una difficoltà aggiuntiva, fino a quando il genitore non impari le competenze emotive necessarie.
Possono quindi esservi somiglianze tra un genitore e un figlio, entrambi a Elevata Sensibilità, ma è importante tenere a mente che ogni persona con Elevata Sensibilità è comunque diversa e può manifestare tali caratteristiche in misura maggiore o minore; ad es., in alcuni è più sviluppata l’empatia, in altri la reattività agli stimoli sensoriali dell’ambiente. È stato identificato anche un sottogruppo di persone a elevata sensibilità, definiti High Sensations Seekers, che sembrano alternare, periodicamente o in ambiti diversi della loro vita, due modalità di funzionamento apparentemente opposte, quindi atteggiamenti tipicamente Hsp con altri decisamente più intraprendenti e orientati al rischio.
La buona notizia è che l’Elevata Sensibilità, quando ben calibrata, porta gli individui a percepire intensamente non solo le emozioni negative, ma anche quelle positive: sono bambini capaci di essere veramente solari e contagiosi nella loro allegria!
POSSIBILI DIFFICOLTA’ NEL PERCORSO DI SVILUPPO DI UN BAMBINO A ELEVATA SENSIBILITA’
In alcuni casi i genitori possono cogliere soprattutto gli aspetti di lamentosità del bambino, dovuti alla sua difficoltà ad adattarsi a stimoli sensoriali per lui troppo numerosi, prolungati o intensi. Oppure la sua tendenza a restare attaccato alla gonna della mamma o a soccombere nei confronti/scontri con i coetanei, a causa del suo bisogno di entrare in sintonia con gli altri e di non essere rifiutato.
Tali comportamenti, spesso ritenuti problematici anche nelle femmine, possono risultare ancora meno tollerati nei maschi, a cui in genere viene richiesto di conformarsi allo stereotipo di ‘forte’ inteso come ‘duro’, cioè dominante e capace di sopportare qualsiasi stimolo fisico, perfino il dolore.
In effetti alcuni bimbi con Elevata Sensibilità, soprattutto quelli con una più spiccata reattività agli stimoli sensoriali, possono essere piuttosto complicati da gestire da piccoli; possono piangere spesso e l’adulto non sempre riesce a capire che il motivo è un ‘sovraccarico sensoriale’, come una luce troppo improvvisa, un cambiamento di sensazione a livello cutaneo (ad es. fastidio nel mettere o nel togliere il pannolino), l’etichetta troppo ruvida della maglietta, la presenza di troppe persone intorno...
Si tratta infatti di stimoli che la maggior parte delle persone tollera senza problemi o addirittura nemmeno nota. Di conseguenza è facile che un genitore, sentendosi poco efficace nell’accudire il bambino (”..i figli degli altri sono tutti più tranquilli!”) ed esasperato dalle sue continue e incomprensibili proteste, inizi ha pensare che il bambino ha qualcosa che non va o che sia un ‘rompiscatole’.
Nel suo desiderio di aiutare il bambino, è probabile che il genitore inizi a esortarlo a “non essere così sensibile”, a “non dare peso a ogni sciocchezza” o a “fregarsene degli altri”.
Peccato che questo, per un Hsp, semplicemente non sia fattibile, almeno non in modo immediato, con il solo aiuto della volontà: un bambino a Elevata Sensibilità vive ogni cosa intensamente e non può fare altrimenti, è il suo sistema nervoso che iperreagisce. È letteralmente fatto così!
Di conseguenza, questo tipo di esortazioni o rimproveri spesso ottengono solo l’effetto di farlo sentire ulteriormente male; il bambino comincia a pensare di essere ‘sbagliato’, diverso dagli altri e inadeguato.
Di conseguenza, nel tentativo di far contenti i genitori, potrebbe cercare di reprimere le proprie sensazioni, di ‘non sentire’, rinunciando a utilizzare proprio ciò che è la sua ricchezza: una raffinata e superiore capacità di percepire e distinguere le sensazioni, base del suo intuito e della sua capacità empatica.
Questo tentativo però nel tempo si rivela fallimentare perché per una persona a Elevata Sensibilità ‘non sentire’ è come tagliarsi una gamba: uno sforzo enorme, dissociante, di per sé depressivo e in ogni caso impossibile da mantenere nel tempo.
Nonostante quindi l’hsp possa cercare di ‘non sentire’ per eliminare le emozioni negative, il risultato in realtà spesso finisce per essere quello di ridurre o annullare le emozioni positive.
Inoltre, non volendo più fare affidamento sulle proprie sensazioni e conseguenti valutazioni, ritenute inefficaci o anche controproducenti perché attirano rimproveri e prese in giro, il bambino per capire come comportarsi sarò costretto a basarsi unicamente su ciò che dicono gli altri, sviluppando una forma di dipendenza dai giudizi esterni.
Compiacere gli altri, anche sforzandosi di essere sempre ‘perfetto’, non passibile di critica, può diventare il suo obiettivo principale, metro della sua autostima e strategia per evitare reazioni negative dagli altri, che solleciterebbero in lui emozioni dolorose e ingovernabili.
Ma essere perfetto è un compito impossibile, perché ciò che è perfetto per alcuni, può essere criticabile per altri; ecco che questo attiva nuove emozioni negative che non si riescono a controllare. Pensiamo al ragazzino che per essere approvato dal suo gruppo di pari, deve mostrarsi sfacciato, ma per essere approvato dai genitori, deve comportarsi in modo ubbidiente ed educato; come quadrare il cerchio?
Crescendo, alcuni possono tentare di trovare una via d’uscita a queste montagne russe emotive isolandosi, altri aderendo totalmente a un gruppo, altri utilizzando sostanze o attività che li aiutino a sopprimere o a regolare la loro reattività emotiva (droghe, alcool, psicofarmaci, comportamenti compulsivi come dipendenza da internet e smartphone). Ma gli effetti sono spesso temporanei: basta uscire dalla ‘zona di comfort’, dissentire dal gruppo o sospendere le dipendenze e i comportamenti compulsivi, per ritrovarsi di nuovo nell’occhio del ciclone emotivo.
Inoltre, è chiaro che lo sviluppo dell’identità, come percezione di sé positiva e stabile, risenta fortemente di questi tentativi compulsivi di adattamento a contesti così diversi; non si può fare il cowboy tra i cowboys e l’indiano tra gli indiani senza percepirsi quanto meno incoerenti o addirittura ‘falsi’.
“Chi non percepisce se stesso, non può prendersi cura di sé.” (cit. Rolf Sellin)
La strada della felicità, che si pensava di trovare compiacendo gli altri, in realtà finisce per portare lontani da se stessi e quindi lontano da ogni felicità…
Certamente imparare ad andare d’accordo con chi ci circonda resta comunque un obiettivo fondamentale per ogni essere umano e la spiccata empatia delle persone a Elevata Sensibilità costituisce una dote splendida ed estremamente utile in questo senso.
Il punto è che la ricerca della sintonia con gli altri non deve portare sempre a mettere se stessi all’ultimo posto…
Come spesso si dice ai bambini, il segreto è imparare a fare “un po’ per uno”!
UNA STORIA A LIETO FINE!
Le conseguenze negative che possono verificarsi nella vita di una persona a elevata sensibilità non sono quindi dovute a tale caratteristica, ma alla lotta che la persona intraprende contro la propria sensibilità e all’adattamento compulsivo agli altri.
I genitori che, grazie ad esperienze personali positive o all’aiuto di un professionista esperto in materia, hanno avuto modo di comprendere l’Elevata Sensibilità del figlio e di valorizzarla come una potenziale, ricchissima dote, possono essere ampiamente agevolati nel loro compito e avviare il figlio verso un percorso evolutivo decisamente positivo.
Innanzitutto, se il bambino presenta una forte reattività sensoriale, potranno liberarsi da una serie di sensi di colpa e di inadeguatezza sin dalla sua prima infanzia: non sono ‘sbagliati’ loro e non è ‘sbagliato’ lui, è come un puledrino selvaggio, ha bisogno di imparare a domare, piano piano, la sua reattività!
Ma non è un compito semplicissimo e quindi per riuscirci gli occorrono aiuto e interventi ben calibrati.
Il primo e fondamentale obiettivo, come per qualsiasi neonato, sarà quello di aiutarlo a sentirsi amato e al sicuro, grazie a una buona dose di contatto fisico, a risposte sollecite ai suoi segnali di bisogno, ad una atmosfera il più possibile giocosa e serena (una musica allegra o morbida di sottofondo può essere di aiuto), fattori che nel loro insieme contribuiscono a generare un senso di fiducia verso il genitore, base per la futura fiducia in se stesso.
In seguito, già a partire da pochi mesi di vita, sarà fondamentale anche iniziare a espandere i suoi livelli di tolleranza rispetto agli stimoli sensoriali: alternando ad es. giorni in cui si esce a giorni in cui si sta in casa, luoghi silenziosi a posti un po’ più affollati, la compagnia di adulti a quella di coetanei, la presenza della mamma a quella di altre figure di riferimento, giochi da fare insieme a brevi periodi di tempo in cui può trastullarsi con qualche giochino da solo.
Come sempre accade con i bambini, il mantra da ripetersi è gradualità: non insistere troppo quando il bambino mostra disagio ma nemmeno desistere una volta per sempre!
Potremmo definirla quasi un’arte, perché i margini di manovra possono apparire ristretti e all’inizio il bambino, esposto a stimoli per lui difficili, potrebbe agitarsi quasi subito. Ma è comunque possibile incoraggiarlo a espandere i suoi limiti di tolleranza sensoriali, alternando momenti con stimoli per lui ottimali a momenti, via via sempre più prolungati, con stimoli gradualmente più intensi.
Ad esempio quando il bambino inizia ad agitarsi in un determinato contesto, si può cercare di aiutarlo a ‘tollerare ancora un pochino’ calmandolo con il contatto fisico, con un tono di voce calmo e sereno, ri-orientando la sua attenzione verso qualcosa di piacevole o interessante come un giochino o un oggetto buffo – il famoso potere della distrazione! Se si riesce a tranquillizzarlo, si potrà rimanere ancora un po’, altrimenti lo si allontana dal contesto eccessivamente stimolante, ritentando però dopo qualche giorno, in modo costante ma anche comprensivo e giocoso.
Tornando al potere della distrazione, potremmo descriverlo con le parole “cerca & trova ora qualcosa di bello, piacevole o interessante”. Questa capacità di ri-orientare l’attenzione verso qualcosa di calmante, che crescendo possiamo imparare a utilizzare anche volontariamente, è un pilastro fondamentale per imparare a gestire le proprie emozioni problematiche.
Infatti le emozioni negative NON possono essere eliminate o soppresse all’infinito, ma POSSONO essere controbilanciate, elaborate e nel tempo superate grazie all’attenzione verso aspetti piacevoli e calmanti, capaci di sollecitare emozioni positive. Ciò è vero anche per le sensazioni: in presenza di uno stimolo sensoriale indesiderato, possiamo limitarne l’impatto fastidioso o doloroso concentrandoci su uno stimolo piacevole – come il magico ‘bacino sulla bua’!
Le emozioni sono infatti delle valutazioni inconsce, preziosissime perché ci aiutano a capire cosa sia importante per noi e a comportarci di conseguenza. Quando cerchiamo di eliminarle, di ‘silenziarle’, spesso fanno ciò che farebbe una torre di controllo con un pilota che non sente: alzano il volume, diventando ancora più intense.
Inoltre tutte le emozioni, sia positive che negative, emergono da aree cerebrali interconnesse e quindi silenziare le emozioni negative ha il paradossale effetto di silenziare soprattutto le emozioni positive, togliendo gioia e sapore alla vita.
Nel percorso di crescita sarà quindi fondamentale aiutare il bambino a comprendere cosa sono le emozioni e come lo influenzino, apprendimento utilissimo a chiunque. Si tratterà di accompagnarlo nel dare un nome alle sue emozioni, nel coglierne i collegamenti con le circostanze e con l’attivazione di specifiche sensazioni, pensieri e comportamenti, fino ad apprendere varie modalità di gestirle.
In particolare, un bambino a Elevata Sensibilità avrà bisogno di imparare a conoscere il funzionamento specifico della propria reattività emotiva e sensoriale, le differenze con quelle degli altri ma anche le qualità e i vantaggi che gli può garantire: imparare a distinguere le sensazioni utili dai ‘rumori di fondo’ della propria reattività, a dare credito al proprio intuito integrandolo con la razionalità, ad avere fiducia e cura di sé oltre che attenzione agli altri.
Concludendo, è importante ricordare che il bambino Hsp presenterà sempre una sensibilità elevata, di cui dovrà (e dovremo) imparare a tenere conto. Eppure la progressiva espansione della sua tolleranza, pur nel rispetto dei suoi limiti, gli permetterà di imparare a gestire in modo sufficientemente sereno la maggioranza delle situazioni di vita e a fare della propria sensibilità una vera e propria ‘marcia in più’!
Crescere un bambino con queste caratteristiche può sembrare un compito complesso, ma in realtà per noi adulti può costituire una bellissima occasione per guardarci dentro, imparando a conoscere e a prenderci cura anche del nostro mondo emotivo, delle nostre sensazioni, capacità e limiti.
Questo renderà il percorso molto più agevole, persino affascinante, permettendoci di crescere con il nostro bambino e sviluppare insieme un rapporto davvero ricco, profondamente appagante.
E del resto per un bambino a Elevata Sensibilità sentirsi compreso e accettato, prima di tutto dai genitori e poi via via da se stesso, è la cosa più importante, la consolazione maggiore e la gioia più grande.